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Tribunali Emilia-Romagna > Risarcimento del danno
Data: 15/05/2001
Giudice: Sorgi
Tipo Provvedimento: Sentenza
Numero Provvedimento: Non disponibile
Parti: Ines M. /Azienda Sanitaria Locale di Modena
TRIBUNALE DI FORLI' - DEMANSIONAMENTO ED EMARGINAZIONE - REINTEGRAZIONE NELLE MANSIONI E RISARCIMENTO DANNI - DEFINIZIONE DEL CONCETTO DI MOBBING - CRITERI RISARCITORI


Con ricorso proposto in via ordinaria contenente contestuale richiesta di provvedimento d'urgenza (istanza abbandonata nella fase d'urgenza su decisione concorde delle parti, essendo nel frattempo mutato il gestore della sede ove era addetto il ricorrente) il Titolare d'Agenzia di un istituto di credito lamentava di essere stato adibito a mansioni inferiori con attività sempre più dequalificata nonché ad un illegittimo trasferimento, chiedendo a) di essere reintegrato nelle mansioni svolte in precedenza e b) la condanna del datore di lavoro al risarcimento dei danni subiti in conseguenza dell'illegittima dequalificazione; al risarcimento per il danno professionale, all'immagine, alla carriera e alla dignità professionale; al risarcimento per il danno alla salute ed il cosiddetto danno biologico; al risarcimento per il danno di perdita di chance di promozione a Dirigente. In particolare, per quanto concerne il danno alla salute, il lavoratore accusava l'esistenza di una «sindrome ansioso-depressiva somatizzata a livello cardiocircolatorio su base conflittuale lavorativa» non sussistente prima dei fatti denunciati. Il Giudice ha affrontato in primo luogo la problematica relativa al trasferimento, caratterizzato dall'attribuzione di «scarse, dequalificanti, se non mortificanti, attività», per giungere alla conclusione dell'insussistenza di elementi che giustificassero oggettivamente il trasferimento (nella sentenza può leggersi che «le ragioni tecnico organizzative dichiarate dalla banca appaiono impalpabili») neppure invocando il principio della libera iniziativa economica «perché l'articolo 41 Costituzione al secondo comma afferma che la stessa non può svolgersi, tra l'altro, in modo da arrecare danno alla dignità umana». Conseguentemente ha dichiarato illegittimo il trasferimento disponendo il rientro del dipendente nella sede presso la quale era occupato in precedenza, specificando che «le mansioni da attribuire allo stesso dovranno tener conto effettivamente della sua esperienza professionale e della sua qualifica per evitare la reiterazione di ricorsi giurisdizionali». La parte più corposa della sentenza (circa venti pagine) è però dedicata alla problematica del mobbing, «… diventato ormai un concetto acquisito anche se non ben definito nella coscienza comune anche alla luce di recenti sentenze di merito (…) e dell'elaborazione sociologica e giuridica sviluppatesi negli ultimi anni in Italia». Il Giudice di Forlì, constatata «la difficoltà che l'interprete incontra in questa primissima fase in cui il fenomeno del mobbing viene spesso nominato ma difficilmente individuato nei suoi caratteri essenziali e differenzianti» si propone un'indagine particolarmente rigorosa, in particolare sulla sussistenza dei requisiti richiesti dalla psicologia del lavoro internazionale e nazionale «… perché, in casi che presentano mera somiglianza con il mobbing, ogni episodio dovrà essere altrimenti catalogato e darà diritto a diversi profili di tutela risarcitoria a favore di chi ha subito le condotte». Solo in tal modo si potrà «evitare che una moda o un atteggiamento approfondito meno del dovuto svaluti la potenzialità di un fenomeno della gravità e dell'importanza di quello in esame». Conseguentemente il magistrato ha conferito la CTU al «maggior esperto nazionale dell'argomento - il prof. Harald Ege - che si avvaleva di un ausiliario neuropsichiatra per meglio delineare gli aspetti più strettamente medici», pervenendo, all'esito della sua indagine, alla conclusione della sussistenza, nel caso specifico, di tutte le caratteristiche tipiche del modello di mobbing italiano (alcune situazioni emerse in istruttoria sono state definite «paradigmatiche e scolastiche a livello di indizi per il mobbing») nel suo stadio iniziale e nelle sei fasi successive della sua evoluzione: dopo la cd. condizione zero, di conflitto fisiologico normale ed accettato, si è passati alla prima fase del conflitto mirato di individuazione della vittima; alla seconda fase in cui la vittima prova un senso di disagio e di fastidio; alla terza fase nella quale il mobbizzato comincia a manifestare i primi sintomi psico-somatici, i primi problemi per la salute; alla quarta fase caratterizzata da errori ed abusi dell'amministrazione del personale che, insospettita dalle assenze del soggetto mobbizzato, erra nella valutazione negativa del caso non riuscendo, per carenza di informazione sull'origine della situazione, a capire le ragioni del disagio del dipendente; alla quinta fase nella quale si aggravano le condizioni di salute psico-fisica del mobbizzato che cade in piena depressione ed entra in una situazione di vera e propria prostrazione. Persino la sesta fase, peraltro eventuale, nella quale la storia del mobbing ha un epilogo (nei casi più gravi nel suicidio del lavoratore, negli altri nelle dimissioni, o anticipazione di pensionamenti, o in licenziamenti) ha trovato un riscontro nel caso del sig. Mulas, che nel corso del giudizio veniva appunto licenziato. Una volta individuata la responsabilità datoriale sia di natura contrattuale (per violazione dell'art. 2087 c.c., non avendo «la banca provato in alcun modo di aver posto in essere le dovute cautele per evitare la realizzazione del processo di mobbizzazione») sia extracontrattuale (per violazione dell'art. 2043 c.c.) il Giudice ha ricondotto il pregiudizio subìto nella categoria del «danno esistenziale, o danno alla vita di relazione, che si realizza ogni qual volta il lavoratore viene aggredito nella sfera della dignità senza che tale aggressione offra sbocchi per altra qualificazione risarcitoria» - che a suo avviso può sostanzialmente ricomprendere le diverse voci indicate dalla difesa del lavoratore (perdita di chance lavorative, demansionamento) - quantificandolo con criterio equitativo ispirato dalla giurisprudenza in casi di demansionamento: doppio parametro del tempo in cui la situazione si è protratta ed una percentuale della retribuzione percepita come base per la determinazione del danno. In conclusione la decisione in commento, rispetto ad altri precedenti giurisprudenziali pubblicati - che comunque hanno il pregio di aver iniziato a dare dignità giuridica ad un fenomeno non espressamente regolamentato dall'ordinamento - si caratterizza per un particolare rigore scientifico nello studio del mobbing, e può quindi costituire un interessante spunto per un maggior approfondimento della nuova problematica nei suoi aspetti giuridici